Luna nuova in Ariete nel Cielo Valorosi, assieme a Mercurio nel segno e congiunta a Chirone, rappresentante della ferita Karmica.
Una Luna che parla di un’arte che per il nostro vivere occidentale è diventata più sfuggente di quel che si immagini, quella del saper lottare per noi stessi e per quello che profondamente definisce il senso della nostra esistenza.
Piaccia o meno a quanto ci attornia.
Mercurio, Dio dell’intelletto, chiarisce il senso dell’energia del momento e lo mette in relazione alla capacità di verbalizzare quello che davvero urge alla nostra permanenza su questo piano. Mette l’accento su quelle parole di fuoco che non ci concediamo, che spegniamo con la coperta nera del silenzio, che ingolfa di frustrazione il cuore.
Nei suoi scritti, Eliphas Levi, una fra le maggiori voci dell’esoterismo moderno, sostiene che “la luce dell’intelletto è la parola, la parola è il mezzo e la pienezza, lo sviluppo dell’essere. Parlare è creare”. D’altro canto uno dei nomi di Dio è Logos. Parola.
Veniamo tutti su questo pianeta investiti di propositi specifici.
Sono facilmente individuabili in quelle tematiche che ci concedono respiro ed espansione interiore, quelle che ci regalano sorrisi e ci proiettano nella gamma più alta della scala emotiva. Dunque abbiamo tutti bisogno di imparare a manifestare qualcosa, altrimenti non avremmo mai scelto di affrontare un mondo tanto denso e duale. Ma quanto riusciamo a concederci le battaglie necessarie perché da potenza certi aspirazioni interiori si trasformino in atto?
Molte crisi vocazionali, tanta confusione su quel che si è o si vorrebbe diventare, affondano le radici semplicemente nell’incapacità di azionare la spada di Marte Dio della guerra. Di scontentare chi si deve, di dispiacere, tagliare, spaccare, accettare il rischio di essere invisi o non accetti a qualcuno che si ama.
E per essere amati finiamo per negare amore a noi stessi.
Sicchè continua Eliphas Levi nelle sue finissime pagine “l’uomo che resta schiavo dei pregiudizi di questo mondo non potrà mai essere un iniziato. Non sarà mai un Adepto, giacchè la parola adepto designa colui che è arrivato per mezzo della sua volontà e delle sue opere”
Volontà che è una delle parole chiave dell’Archetipo Ariete a ben vedere, assieme all’azione che conduce alle opere aggiungerei. Ma cosa accade alla nostra volontà quando si infrange contro lo scoglio del pregiudizio di questo mondo?
E così infatti la marzialità finisce per soccombere contro un fitto muro di preconcetti e giudizi che le nostre società borghesi hanno eretto nel tempo, società in cui lo scontro viene spesso abortito o minimizzato, nascosto o ripudiato, perché ritenuto poco educato, elegante o inappropriato. O ancora perché in certe temperie pseudo spirituali, che hanno caratterizzato i decenni scorsi, il passo pesante dei calzari di Ares riceve lo stigma del comportamento privo di evoluzione. Di certo si tratta di qualcosa di separativo, eppure è un’ attitudine di vitale importanza su questo piano duale.
Chi si concede la rabbia o la lite non è evoluto valorosi. O almeno così lo dipinge il pregiudizio.
Non è zen.
Chi dice come stanno le cose nemmeno. Ma è davvero così? E in nome di quel piccolo lemma di tre lettere, decontestualizzato e poco compreso, abbiamo fatto strage di sante lotte per l’autoaffermazione e pagato prezzi altissimi alla missione che siamo venuti ad incarnare, magari con estremo dolore.
Abbiamo rinunciato alla nostra personale iniziazione. Quella ai misteri della nostra Anima e dei suoi obiettivi Karmici.
E il rifiuto che collettivamente assegnamo al principio dello scontro, per legge di risonanza e di attrazione, manda infatti in manifestazione sugli schermi mondiali ancora una volta gli strali della guerra, i suoi orrori, la sua distruzione nel cuore del continente Europeo, che non conosceva più il nauseabondo sapore del sangue da quasi un secolo ormai.
Non è un caso ovvio.
Il mito disegna molte parabole in cui il sacro fuoco di Marte è parte integrante e necessaria di un’iniziazione. Giasone per esempio giunge a Iolco, suo luogo natale, per rivendicare il trono che gli spetta di diritto, usurpato dallo zio Pelia. Si presenta coperto di pelle di pantera e con il piede sinistro scalzo. Le pelli di Pantera appartengono alla ritualistica del Dio Dioniso. Signore del caos e dell’occulto, della magia orgiastica ieratica. Giasone è dunque un adepto. Un eroe che ha appena iniziato il suo cammino auto realizzativo. Infatti incute un sordo timore nello zio che in quello strambo nipote, il quale si dice sia stato perfino educato da Chirone all’arte della guerra, vede specchiata la forza giovane e indomita che langue nel suo regno usurpato e imborghesito. E fa bene a temerlo Pelia, perchè Giasone non si spaventa punto della missione ai limiti del possibile che gli viene assegnata per allontanarlo da Iolco. Non batte un ciglio all’idea di conquistare e riportare in patria una chimerica pelle ovina d’oro cara ad Ares e sorvegliata da un drago. Anzi Giasone raduna una truppa e parte. Agisce. E lo fa al netto di ogni pregiudizio che avrebbe voluto disperata e priva di senso la sua iniziativa. La sua volontà di fuoco lo aiuta infatti. Così tanto che riceve l’aiuto di Medea una volta raggiunta la Colchide e riesce a sottrarre il Vello D’oro grazie alla perizia magica di quest’ultima, che ne diviene in breve la moglie. Ma Giasone resta concentrato sulla sua meta. Sulla azione o karma ( da Karman azione appunto in Sanscrito). Egli è nato per essere un guerriero e un leader e quando gli viene offerto il trono di Corinto, come Euripide magistralmente racconta, non si tira indietro. Anche se questo comporta dover prendere in moglie la giovane Glauce, figlia del Re Creonte, per suggellare l’accordo politico. E lo fa spezzando il cuore di Medea, che tanto lo aveva supportato per farne un Re dal momento che se ne era perdutamente innamorata al primo sguardo. Per lui Medea aveva avvelenato, accoltellato, mentito, tradito la sua stessa stirpe. Eppure Giasone non si cura del suo dolore e della sua indignazione. Non può permetterselo. Non può lasciare che il giudizio del mondo interferisca con la sua missione. Non può rinunciare a quel che è per essere meno inviso a una donna che a suo tempo ha riconosciuto e amato. Giasone sfida il pregiudizio e le passioni dell’essere umano. Le sue azioni , sono quelle dell’adepto, risvegliato alla missione del proprio Spirito, che esercita la propria volontà per finalizzare le sue opere, come argomenterebbe Eliphas Levi. E sono azioni sempre al netto delle etichette mondane.
E’ esecrabile un marito che ripudia una moglie devota certo.
Ma non sarebbe esecrabile allo stesso modo che un re guerriero, dal sopraffino lignaggio, educato da Divini alla sua missione, rinunciasse a quel che davvero è per vestire i panni che non gli appartengono?
E il vostro lignaggio Divino Valorosi?
Per chi o che cosa avete rinunciato?
Per chi state rinunciando a quel che siete?
A quale pregiudizio mondano pagate il prezzo della vostra mancata affermazione?
Sono queste le domande sul piatto di questo Novilunio.
Non abbiate timore di non essere zen.
Non abbiate timore di abbandonare la vostra Medea personale.
Con Amore e servizio
Francesca Spades
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