Dall’energia di autocoscienza del Leone, i pianeti, uno ad uno, stanno scivolando nell’archetipo della Vergine.
La natura questo lo sa. Le giornate impercettibilmente stanno consegnando la loro regale durata luminosa al buio che avanza. Alle ombre lunghe dell’autunno. Apparentemente nulla è cambiato. Il caldo, la potenza del sole, la luminosità. Eppure l’ombra si estende di un passo in più da qualche giorno. Quell’ombra che è il grande cruccio esistenziale dell’archetipo Vergine in effetti. Il segno della Vergine dentro porta il timore esistenziale di tutti gli incantesimi spezzati, delle favole che a un tratto si interrompono e possono tramutarsi facilmente in incubi angosciosi. L’energia Divina che nel Leone è coraggio della vera scoperta di sè, attraverso l’illuminazione dei propri Cerberi interiori, della propria zona di non consapevolezza, nella Vergine vive infatti una fase di ritrazione. Ed è un principio universale che la filosofia Ermetica conosce come Legge del Ritmo. Tutto si estende per poi ritrarsi. A ogni più succede un meno. L’energia del Creatore nell’archetipo della Vergine torna nei ranghi dopo una portentosa detonazione e fa i conti del caso. Il Signore della Vergine è Mercurio, che tuttavia compare in una veste diversa rispetto a quella che sulla ruota dello zodiaco aveva già vestito per l’archetipo dei Gemelli. Nella Vergine Mercurio è analisi. E’ calcolo dei risultati, è messa a sistema di quello che si conosce, dello slancio energetico appena passato attraverso il Leone. Dopo ogni battaglia si fanno i conti si sa. Le perdite, le acquisizioni, le aspettative, fondate o meno, per il futuro.
Quel futuro che spesso ci spaventa parecchio, soprattutto per chi viene al mondo con grandi valori in Vergine, perchè portatore di quelle ombre che vogliono ridurre una magia, spezzare degli equilibri o sottoporci a trasformazioni non richieste. Nel mito connesso Demetra, o Dea Madre, Dea della terra, sorella di Zeus, amministratrice delle stagioni, dell’agricoltura, della terra che fiorisce e da frutto, vive la sua ordinata e tranquilla esistenza di regole e tempi stabiliti. Quelli che servono alla vegetazione per crescere, ai frutti per maturare, alla terra per nutrire. Ma la sua oasi di ordinata serenità viene travolta dalla sparizione della figlia Persefone. Che ormai è cresciuta al punto tale in età e bellezza da calamitare lo sguardo letale di Ade, Re dei Morti. Il ratto è una delle pagine più belle e conosciute della mitologia. Il romanzo romantico del Dio delle Ombre che si innamora perdutamente della fanciulla del sole, che la rapisce fra i fiori odorosi dei campi in cui trascorre la sua spensierata giovinezza per farne la regina immortale del suo Regno infero. Ma la disperazione di Demetra quella è meno popolare. Quella è la storia di una coscienza che perde letteralmente la terra da sotto i piedi e fa meno romanzo d’amore.
Demetra infatti mette sotto sopra il mondo conosciuto per quella figlia che sparisce assieme al Dio degli Inferi. Demetra scalpita, manda in pezzi ogni ordine sulla terra, blocca il fluire delle stagioni e lo fa finchè a Zeus non resta altro da fare che scendere a compromesso con lei, fino a mettere paletti a quel fratello dannato e ombroso a cui ha consegnato il potere sui defunti. Persefone non può appartenergli senza che sia considerato il diritto della madre disperata a vederla, almeno per sei mesi all’anno. Demetra non accetta. Piega financo il Re degli Dei al suo terrore cieco. La sua mente in fin dei conti le racconta un incubo senza fine. Come potrà vivere senza la figlia? Come potrà accettare che un ignoto signore del buio se la sia portata via per sempre? In un luogo che non vede, che non controlla, dove tutta la sua pacata e ordinata serenità non ha accesso? Demetra è dunque la personificazione delle paure esistenziali che tutti abbiamo dentro e che l’archetipo della Vergine ci specchia. La paura del buio. La paura dell’ignoto. La paura di perdere chi amiamo. La paura di morire. La coscienza vive l’ansia della perdita esistenziale di sicurezza, in nessun altro luogo dello zodiaco come in questo veniamo in contatto la paura declinata in ogni sua forma.
E la paura è l’esatto contrario dell’Amore ci informa Un Corso in Miracoli. La paura vive dove la luce della nostra coscientizzazione non è ancora giunta, perchè si ha timore di quello che non si offre alla nostra conoscenza. E ancora Un Corso in Miracoli chiarifica la grande distanza che intercorre fra quella che noi definiamo come nostra conoscenza e quello che essa realmente è. In verità finchè ci muoviamo sul piano della mente, tanto cara all’archetipo della Vergine, siamo nell’ambito della “percezione“, che non è reale conoscenza. La conoscenza può originare solamente dalla riconnessione allo Spirito, che ci dona una visuale nuova perchè non parcellizzata, non declinata sulla nostra bolla sensoriale individuale. Così il grande dilemma che i Vergine vivono, e dunque l’origine profonda della loro paura esistenziale, è quella di confondere le percezioni della propria mente con la reale conoscenza, finendo per credere senza possibilità di appello alle storie che essa racconta. Ma Mercurio, Signore della mente appunto, è anche noto per essere il più fine bugiardo dell’Olimpo. Mercurio ruba il bestiame del fratello Apollo coprendo perfettamente le tracce del misfatto, conosce la doppiezza che deriva dall’importanza che si consegna al calcolo e alla convenienza. E la mente, quando prende il sopravvento, quando guida la nostra esistenza, diventa lo strumento principe con cui il nostro piccolo Sè o Ego tenta disperatamente di restare a galla e sopravvivere. L’unico che ha paura di morire è solo lui. Se nel nostro cuore da qualche parte vive la paura della morte, ovvero delle trasformazioni, ovvero dei grandi passaggi, non è che l’Ego che piange la sua impossibilità di restare in piedi. Sa che il suo destino è quello di morire. Sa che prima o poi dovrà liberare il campo al vero Sè, alla nostra Anima. E le Anime non hanno paura di morire. Sono Dio espanso in tanti pezzi. Uno e molteplice. Uno e tanti nella sua onnipotenza.
John Milton sosteneva che la mente è il nostro proprio luogo. E in sè può fare il Cielo dell’Inferno e un inferno del Cielo. In questo suo pensiero c’è la chiave della nostra convivenza con il mentale. Dipende dalla nostra capacità di osservazione e vigilanza la possibilità di cadere a peso morto nelle proiezioni dello schermo nero della mente, oppure frenare. Ricordare che la mente è spesso la serva fedele di quell’Ego che è la causa di molte delle nostre sofferenze, quando ci ripete sempre le stesse storie. Che la felicità è pericolosa perchè tanto finisce, che le tragedie sono all’ordine del giorno, che dietro l’angolo può esserci il cambiamento che viene a sottrarci quel piccolo spazio di sole guadagnato. La mente può creare un inferno dal nulla quando le permettiamo di guidarci e di essere l’ago della nostra esistenza.
Percezione non significa conoscenza.
La mente percepisce. Se fossimo in grado di dare ai nostri pensieri la leggerezza che c’è dentro la parola percezione, avremmo cuori leggeri come piume. La mente non ci consegna mai la verità. Solo la sbiadita percezione sensoriale di qualcosa che non afferrerà mai per intero.
Evitiamo di prenderla sempre sul serio.
Love
Shanti.
Francesca Spades