Quando la nostra Anima decide di prendere albergo in un nuovo corpo, o come direbbe Gurdijeff in una nuova macchina biologica, trascorre dieci lune o nove mesi immersa in un liquido chiamato amniotico, un liquido primordiale che consente all’Anima di prendere a poco poco materia e sviluppare il suo corpo fisico partendo da una manciata di piccole cellule. Dimenticare diventa necessario per lo scopo che l’Anima si è prefissa, ovvero quello di imparare qualcosa che non sapeva, qualcosa che le mancava nel suo percorso di evoluzione verso il Divino. Per questo quella prima acqua in cui siamo immersi è l’acqua della dimenticanza. Anche nella mitologia il confine fra i mondi è segnato dalla dimenticanza. Le acque del fiume Lete scorrono negli Inferi e separano il Regno dei Morti dalla terra baciata dal Sole. Le anime che scendono nell’Ade bevono dei suoi flutti magici per staccarsi dalle vicende della loro vita mortale e abbracciare la vita infera. Allo stesso modo Platone racconta che le Anime pronte per tornare a vivere sulla Terra bevono delle stesse acque magiche per iniziare il nuovo viaggio come fosse il primo. Dimenticare e ricordare gioca un ruolo fondamentale nella nostra permanenza su questo piano incarnato allora.
Dimentichiamo per apprendere. Ricordiamo per evolvere.
Perchè i veri scatti evolutivi nelle nostre esistenze si registrano immancabilmente quando aggiungiamo un pezzo a noi stessi. Alla nostra consapevolezza, come fossimo dei puzzle da ricomporre. Quando aggiungiamo una tessera all’insieme di quello che abbiamo capito abbiamo l’impressione di essere aumentati, di essere più grandi. Eppure quel che ci sembra nuovo in realtà non lo è. Viviamo dissotterrando dall’oblio la nostra grandezza. Viviamo per tornare a ricordare la nostra vera essenza. Un’identità che abbiamo a poco a poco dimenticato assieme al nostro potere. Il fatto di essere tutti parte di quella Divinità da cui abbiamo pensato d’essere separati in un momento molto distante del nostro percorso.
Così la dimenticanza diventa uno strumento didattico per la nostra Anima. Abbiamo bisogno di perderci per ritrovarci. E Abbiamo bisogno di ogni singolo errore che costelli il nostro cammino. Di ogni falso sè o identificazione sorti per la via.
E la Luna questo mese è piena nell’archetipo del Cancro. Raggiunge la sua energia massima nel luogo astrologico dell’inconsapevolezza e del desiderio lancinante di uscire dalla sua oscurità. Nella stazione del Cancro infatti la coscienza tocca per la prima volta l’elemento Acqua sulla ruota dello Zodiaco. Fa esperienza del linguaggio delle emozioni per la prima volta. Sente per la prima volta uno dei piani in cui la personalità è racchiusa e strutturata. Sentire significa scoprire una dimensione di se stessi che non passa per il pensiero e nemmeno per la fisicità. La coscienza sente per la prima volta il richiamo dell’Anima, la sua vera dimensione. La coscienza è Anima, ma deve imparare a realizzarlo e questo è il viaggio di noi tutti su questo piano.
La Luna piena in Cancro di questo mese allora rappresenta la cassa di risonanza straordinaria di ogni evento risvegliante, di quegli accadimenti che hanno il potere di farci chiedere se davvero la vita che viviamo ci appartiene, se davvero le esperienze della nostra vita sono in linea con quello che veramente siamo. E’ una piena lunare che ci rende vulnerabili, che ci denuda, che ci mette davanti al nostro sentire. Che potenzia, a scapito della nostra razionalità e di tutte le sue certezze, quelle sensazioni che cerchiamo in ogni modo di non ascoltare, perchè sentire, avvertire il richiamo dell’Anima, spesso richiede uno sforzo di sincerità e un’assunzione di responsabilità che ci spaventa e che fa vestire al sonno dell’inconsapevolezza i panni del male minore.
Eppure sentire ci traghetta verso la completezza di quello che siamo. La Ruota dello Zodiaco termina non a caso nell’Oceano dei Pesci, fa dell’elemento Acqua, ovvero le emozioni, la lezione più elevata che la Coscienza possa imparare nel mondo incarnato. L’emozione guida la Coscienza all’empatia, prima di sè stessi e poi degli altri. E’ attraverso l’emozione che possiamo renderci conto che non c’è separazione fra dentro e fuori, che accogliendo l’altro accogliamo noi stessi. Ed è per questo che Carl Gustave Jung sostenne che “il giudizio intellettuale corrisponde, nel migliore dei casi, solo alla metà del vero”. Pensando si resta nei confini della mente che ripete modelli sperimentati all’infinito. Il nuovo arriva solo attraverso le emozioni. La completezza giunge sentendo.
Il mito conosce molti episodi in cui lo svelamento di un’identità regale avviene attraverso una facoltà che non è figlia della mente analitica.
Il bellissimo Paride per esempio, figlio di Ecuba e Priamo, reali di Troia, colui che rapì la meravigliosa Elena, innescando il più grande conflitto dell’antichità Ellenica, crebbe lontano dai fasti della corte a cui apparteneva . Ignorando completamente la propria identità.
Il mito narra che quando ancora si trovava nel ventre materno, la regina Ecuba sognò di partorire una torcia accesa in luogo di un bambino. Quando venne consultato un indovino in proposito fu chiaro a tutti che il nascituro avrebbe distrutto il Regno. Ecuba , lacerata dalla prospettiva di dover sacrificare il figlio, supplicò Priamo di non uccidere il piccolo e questi si limitò ad esporlo sul monte Ida, abbandonandolo al suo destino. Il bimbo tuttavia venne raccolto da pastori ed allevato come uno di essi. E la sua forza e la sua avvenenza fisica tradirono presto le origini nascoste, per quanto il ragazzo crescesse nelle umili vesti dei pastori e trascorresse il suo tempo pascolando bestiame infatti, la sua regalità e i suoi talenti rivelavano un’identità misteriosa di cui egli era totalmente inconsapevole. Si guadagnò subito il nome di Alessandro , ovvero “colui che protegge” proprio per il valore che dimostrò fin da bambino proteggendo le mandrie dai pericoli, sprezzante dei rischi. Molti anni trascorsero nell’oblio di chi fosse, eppure accadde che vennero indetti in città dei giochi in onore del figlio scomparso di Priamo ed Ecuba e Paride (alias Alessandro), come molti giovani popolani, decise di cimentarsi.
Vinse tutto il vincibile, sconfiggendo ogni sfidante in ogni gara, sconfiggendo senza sforzo anche gli stessi figli di Priamo ed Ecuba, intervenuti alle competizioni. E questo mal fu tollerato da uno dei principi, adirato per l’umiliazione subita sul campo da un umile pastore. Deifobo, principe di sangue reale, ordinò che il giovane sconosciuto fosse catturato dalle guardie e rinchiuso per l’affronto perpetrato alla famiglia reale. Paride dunque viene braccato da un manipolo di soldati in armi e si rifugia terrorizzato presso l’altare di Zeus, dove sa che non può essere attaccato pena l’ira del Re degli Dei.
Non sa che nella sacralità di quel luogo in cui trova riparo lo attende l’incontro con la sua effettiva identità. Dall’oscurità del tempio appare una giovane sacerdotessa. Paride sa attraverso racconti uditi mille volte che Ecuba e Priamo hanno dato alla luce una figlia stramba, una sacerdotessa. Si dice che sia una diletta del Dio Apollo e che il Dio le abbia donato il potere della profezia. Cassandra non dice granchè quando lo vede ansimante e spaventato, in cerca di salvezza. Eppure ordina alle guardie accorse di non muoversi e corre a chiamare Priamo in persona mentre Paride si vede già morto. Quando padre e figlia sono di ritorno tuttavia Priamo appare commosso. Lo avvicina. Lo abbraccia. Lo chiama figlio, perchè Cassandra ha percepito il richiamo del sangue, ha riconosciuto negli occhi e nella presenza di quel giovane pastore ignoto il proprio sangue. E non l’ha fatto utilizzando il piano mentale. Obbedendo all’analisi della mente. Si è fidata di un’emozione. Si è fidata di quel sentire che la rende un personaggio ieratico a metà fra l’Olimpo e gli umani.
Quello che saremo chiamati a vivere nei prossimi giorni allora è renderci conto del richiamo emotivo. Perchè siamo tutti a metà fra l’Olimpo e la Terra. Siamo corde tese fra la bestia e l’oltre uomo per usare le parole di Nietzsche. Spesso le cose ci appaiono chiare e inconfutabili, ma una parte di noi sa bene che nascondono una storia segreta. La mente è ben ancorata su talune certezze, ma il sentire ci fa battere il cuore in un’altra direzione, inspiegabilmente. E quando lo fa spesso ci consegna la verità. Ma sappiamo ascoltare quel piano di noi stessi? Quante volte preferiamo ignorarlo?
Se Cassandra nel mito avesse ignorato quella percezione che fa di lei una creatura semidivina, quasi incomprensibile al resto degli umani, se si fosse fidata dell’evidenza, Paride sarebbe finito in una cella della Rocca, Priamo non avrebbe mai riabbracciato un figlio perduto e lo stesso destino di Troia non si sarebbe compiuto secondo il piano Divino.
Ascoltate la piena delle emozioni. Se serve chiudete gli occhi e isolatevi.
Se serve smettete di pensare che quello che i vostri sensi percepiscono e trasmettono al cervello sia l’unica possibilità di comprensione di voi stessi e della vita.
Quello che di noi stessi riusciamo ad isolare dalla chiacchera incessante del pensiero si chiama Dio.
Buona Luna Piena
Siamo Luce
Siamo Amore
Con Amore e Servizio
Francesca Spades
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(Nella foto Florence Welch: cantautrice, scrittrice, produttrice musicale britannica)